Belgio, nuovi scioperi anti-austerità

Già dopo la manifestazione di Bruxelles, il 14 ottobre, che aveva visto la partecipazione di oltre 140mila persone, il sindacato degli insegnanti aveva immediatamente indetto una nuova azione per novembre, scelta emulata rapidamente da altri settori di lavoratori. Il 24 novembre sono entrati in sciopero per tre giorni i sindacati dei ferrovieri. Il 25 si sono uniti alla lotta i lavoratori dei servizi pubblici e il 26 novembre quelli tutti gli altri settori.

Forte partecipazione in tutti i settori

Nelle ferrovie l’agitazione ha registrato ampie adesioni: nonostante le restrizioni imposte dalle regole sul servizio minimo obbligatorio un terzo dei ferrovieri ha scioperato. Nell’istruzione hanno aderito 25.000 insegnanti – circa uno su 10 – mentre molti altri hanno scioperato un’ora ed espresso la loro solidarietà ai colleghi facendosi intervistare dalla televisione nazionale. Mercoledì nei principali luoghi di lavoro sono stati allestiti centinaia di picchetti e le strade di accesso e i ponti che conducono ai porti di Anversa e Gand sono stati bloccati ripetutamente. L’ampia partecipazione è stata evidenziata dalle lamentele dei datori di lavoro per l’impatto economico dello sciopero. Quest’ultimo, insomma, si è confermato un’arma potente: una volta che il sistema si blocca, diventa subito chiaro chi è che produce ricchezza e fa girare l’economia.

Governo in confusione

A ottobre, il giorno del precedente sciopero, il governo non si era nemmeno presentato all’apertura del parlamento e al discorso sullo “stato dell’Unione”. I partner della coalizione erano in aperto disaccordo tra loro e il governo stava attraversando una situazione difficile. Oltre alle controversie sul bilancio doveva affrontare ulteriori sollecitazioni: droni non identificati erano apparsi su diversi siti militari e aeroporti civili provocando allarme. Allo stesso tempo l’UE aveva spinto il governo a utilizzare i beni russi custoditi presso Euroclear a Bruxelles per finanziare la guerra in Ucraina e la Russia aveva reagito lanciando minacce dirette contro il Belgio. Con una crescente sensazione di crisi e tensioni interne alla maggioranza e i sondaggi che mostravano i consensi della coalizione di governo scesi sotto il 50%, a un certo punto si è sfiorata la possibilità di dimissioni ed elezioni anticipate.

Il movimento ha causato ulteriori esitazioni

Anche le azioni dei lavoratori hanno avuto un impatto. Di qui la visibile esitazione all’interno del governo. I socialdemocratici e gli ex partiti cristiano-centristi, che per anni hanno mantenuto stretti legami con le due principali federazioni sindacali e alle elezioni continuano a fare affidamento sui loro iscritti, hanno iniziato a presentare alcune pur limitate richieste. Tra queste una tassa sui dividendi, misure per la salvaguardia del potere d’acquisto e alcuni emendamenti alla riforma delle pensioni. L’ampiezza della mobilitazione nei mesi precedenti, unita alla fragilità del governo, ha incoraggiato i militanti sindacali a intensificare l’impegno in vista degli scioperi di novembre con l’obiettivo di dare un’altra spallata decisiva, sufficiente a far deragliare i piani di austerità del governo.

Anche i partiti di destra N-VA (Nuova Alleanza Fiamminga – nazionalisti moderati) e MR (Movimento Riformista – liberali) erano divisi sulla strada da seguire. L’N-VA chiedeva tagli alla spesa, aumenti fiscali selettivi e risparmi indiretti attraverso la riduzione delle prestazioni previdenziali e sanitarie. Il MR, invece, rifiutava categoricamente qualsiasi nuova imposta e chiedeva tagli ancora più drastici alla previdenza. In discussione anche l’abolizione, pur parziale, del sistema di indicizzazione automatica dei salari.

Paralisi del governo e improvvisa “risoluzione”

Dopo essere stato ricevuto dal re il primo ministro si è concesso 50 giorni (fino a Natale) per raggiungere un accordo sul bilancio. Per diverse settimane non si sono registrate novità, tranne la richiesta del ministro della difesa di fondi per contrastare la minaccia dei droni. Poi, improvvisamente, il governo alla vigilia dell’iniziativa sindacale, si è riunito. Lunedì mattina sul presto la coalizione ha annunciato di aver raggiunto l’intesa su un bilancio pluriennale. Se il governo sperava di indebolire o fermare i sindacati presentando una posizione ferma e unitaria, ha sortito esattamente l’effetto opposto. Le misure annunciate, infatti, hanno aumentato il desiderio di protesta dei lavoratori. Uno dei fattori che più ha alimentato la loro rabbia è stata l’intenzione del governo di introdurre un tetto massimo al sistema di indicizzazione (il meccanismo che adegua automaticamente i salari all’inflazione), in due step: 2026 e 2028. Dopo il furto delle pensioni, insomma, è arrivato il furto dell’indicizzazione.

Il governo si è giustificato sostenendo che gli aumenti salariali automatici favoriscono i redditi più elevati, mentre l’inflazione colpisce tutti allo stesso modo. Perciò ha deciso che il meccanismo di indicizzazione si applicherà solo fino a una certa soglia, ma il tetto massimo che il governo vorrebbe introdurre in realtà è estremamente basso: 4mila euro lordi al mese per i lavoratori e 2mila per i pensionati. Vuol dire che una parte molto ampia della classe lavoratrice sarà colpita direttamente. Socialdemocratici e partiti centristi hanno accettato la misura in cambio di un piccolo aumento dell’imposta sui titoli finanziari, dallo 0,15% allo 0,30%. Anzi, hanno addirittura festeggiato, dicendo che il sistema di indicizzazione “è sopravvissuto”! Ma molti attivisti sindacali hanno una chiara percezione di cosa rappresenti questo governo e di quanto le sue politiche danneggeranno il loro tenore di vita.

Un pacchetto di nuovi oneri per i lavoratori

Oltre al tetto massimo all’indicizzazione – di fatto un taglio ai salari – il governo sta anche aumentando le tasse e l’IVA sui prezzi dell’energia e sulle attività ricreative come cinema, parchi divertimento, musei e centri fitness. Il primo ministro ha aggiunto che ci saranno ulteriori misure. “Questo non è l’inizio della fine, ma forse sarà la fine dell’inizio”, ha sintetizzato. Perciò molti lavoratori sono pronti a continuare a mobilitarsi, ma i sindacati non hanno un piano di mobilitazione su larga scala con una proposta alternativa definita in modo chiaro e su cui basare un’azione a lungo termine. Per ora si limitano a dichiarazioni generiche come “anche i più forti devono fare la loro parte” che fanno soprattutto nei dibattiti televisivi e nelle interviste sui giornali.

I partiti borghesi non hanno via d’uscita

Il nuovo partito di sinistra PVDA-PTB (Partito dei Lavoratori del Belgio, un partito riformista di massa della “nuova sinistra”), che è solito presentare concrete proposte alternative, si fa sentire soprattutto in parlamento piuttosto che mobilitandosi in maniera più ampia. Il 28 novembre il governo ha superato il voto di fiducia, ma tutti i suoi piani devono ancora essere trasformati in leggi e approvati dal parlamento. La rabbia che oggi serpeggia tra i lavoratori – e la loro manifesta volontà di agire – vanno trasformate in discussioni su come lanciare una campagna di mobilitazione di massa nel 2026, fondata su una chiara proposta alternativa della classe lavoratrice. E a questo scopo è essenziale formulare un programma anticapitalista. La stessa classe politica della borghesia belga non riesce a individuare in modo chiaro una via d’uscita dalla crisi. I tagli al bilancio livello federale devono rispettare alcuni vincoli. Il governo, ad esempio, rifiuta di toccare le spese militari, il pagamento degli interessi sul debito, i fondi destinati alla polizia o alla magistratura. D’altra parte il capitolo di spesa più consistente a livello federale è quello della sicurezza sociale, ma i politici temono le possibili reazioni della popolazione qualora lo attacchino frontalmente. Alcuni di loro pertanto suggeriscono che la riduzione della spesa dovrebbe essere a carico dei governi regionali e che “è arrivato il tempo di una nuova riforma della macchina statale”. Un’idea che è rafforzata dalla crisi in atto a Bruxelles, dove, a 500 giorni dalle elezioni, non c’è ancora un governo regionale né è stato approvato un bilancio, per cui alcune banche hanno iniziato a rifiutarsi di fornire credito.

In questo quadro c’è il rischio reale che la classe politica, invece di giocare la carta dello scontro lungo il confine delle divisioni di classe tra lavoratori e capitalisti, cerchi di sviare l’attenzione alimentando i conflitti tra regioni. Perciò il movimento sindacale, che ha appena dato un saggio della sua forza grazie a una mobilitazione unitaria, non deve cadere nella trappola del divide et impera. L’attenzione deve restare concentrata sull’obiettivo di sconfiggere le misure del governo contro i lavoratori, anche a costo di accelerare la sua crisi e farlo cadere.

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